Il meccanismo encefalico che rinforza i rapporti sociali
LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 11 dicembre 2021.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
E il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia
solo…”
[Genesi 2, 18]
Per i
credenti, l’affermazione non ha bisogno di commenti, per i non credenti può
rappresentare una traccia antichissima di consapevolezza antropologica di un
tratto essenziale dell’uomo. Infatti, in termini storici, l’epoca di Mosè alla
quale si fa risalire il libro della Genesi è collocata intorno al XIII secolo
a.C., e l’autore avrebbe impiegato un consolidato luogo comune per introdurre
la creazione della donna; il luogo comune nella parola sarebbe nato dalla
consapevolezza collettiva che gli esseri umani sentono il bisogno di compagnia.
Nell’interpretazione neuroscientifica della mente, il nostro presidente ha da
tempo dimostrato che l’attualità psichica di ciascuno di noi si basa in parte su
presupposti mnemonici di identità di persone, facilmente evocabili alla
coscienza; in altri termini, la rappresentazione cerebrale delle persone
presenti nella nostra vita contribuisce alla nostra fisiologia mentale[1].
I
rapporti sociali nella nostra specie sono parte integrante dell’adattamento bio-psicologico,
e quindi neurofunzionale, alla realtà ambientale ed esistenziale. È esperienza
comune che esistono persone con una propensione così spiccata ai rapporti
sociali da non riuscire a farne a meno neanche per qualche ora e, all’estremo opposto,
esistono altre che rifuggono talmente il rapporto con gli altri da meritare l’appellativo
di misantrope. È ugualmente noto che il primo tipo di persone è generalmente
estroverso, ottimista, fiducioso nell’altro, e il secondo tipo è più spesso
introverso, pessimista e diffidente.
Col
superamento delle teorie della personalità in psicopatologia, si studiano
sempre meno queste caratteristiche psicologiche nelle persone, tradizionalmente
analizzate secondo i paradigmi della personalità, del carattere e
del temperamento. È anche vero che questa impostazione psicologistica,
declinata sia in termini psicoanalitici, sia fenomenologici, sia
cognitivo-comportamentali, presentava il difetto di cristallizzare i tratti
distintivi in una tipologia rigida, quasi fosse, nel caso della
personalità, la descrizione anatomica del fenotipo strutturale di un organismo;
nel caso del carattere, la definizione del tipo standard di funzione nell’incontro
con gli altri; nel caso del temperamento, una tipologia fissa di funzione
affettivo-emozionale indipendente dall’interazione sociale.
Aver compreso
i limiti di questa impostazione, rende più facile ed evidente rilevare i
cambiamenti delle persone nel tempo e per effetto delle esperienze, delle condizioni
e delle circostanze. Non sono poche, ad esempio, le persone tendenti all’isolamento
e alla vita appartata, perché schive e riservate, o per avere spesso
sperimentato frustrazioni e ansia nei rapporti sociali, che, dopo la privazione
per il lockdown pandemico di interazioni reali,
surrogate soltanto da quelle virtuali a mediazione tecnologica, hanno sentito
il bisogno di incontrare persone. Un effetto reattivo simile, ma molto più
marcato, in passato è stato registrato in persone che avevano cercato volontariamente
l’esperienza mistica dell’isolamento claustrale: molte di esse, dopo un po’ di
tempo, hanno sentito il bisogno di socialità.
Queste
osservazioni evidenziano quanto le differenze derivate dall’evoluzione del singolo
attraverso l’andamento ciclico descritto a spirale di esperienza/conoscenza, in
grado di determinare per apprendimento una tipologia psicologica, non siano
assolute, e quanto questa tendenza sia – di fondo – attribuibile al patrimonio neurobiologico
della specie. In realtà, se siamo disposti ad accantonare i contenuti culturali
e la loro dimensione umanistica che ha dato forma alle complesse astrazioni dei
nostri sentimenti, possiamo ridurre il nostro bisogno di socialità a quello di
qualsiasi altro animale sociale e, particolarmente, a quello dei mammiferi, in
cui il nucleo biologico delle necessità comportamentali può accostarsi alle
nostre spinte più elementari, sviluppate in un sistema nervoso centrale
organizzato in modo molto simile.
Lo studio
comparato, da quasi un secolo, costituisce un elemento standard ormai implicito
nel rapporto tra ricerca di base e indagini sull’uomo, e nelle neuroscienze l’analisi
di omologie ed equivalenze cerebrali ha raggiunto negli ultimi decenni un grado
molto elevato di affidabilità. Dopo i grandi equivoci degli anni ’70-’80[2], il salto di qualità concettuale si è avuto quando si
è compreso che lo studio dei correlati cerebrali del comportamento di ratti e
topi non intende chiarire l’attualità psichica della persona umana, ma solo
trovare chiavi di interpretazione neurobiologica, attraverso l’attività di
circuiti neuronici murini conservata nella filogenesi, del nucleo elementare di
processi cerebrali umani alla base dello psichismo.
Le interazioni
sociali sono comportamenti motivati che in molte specie facilitano l’apprendimento,
secondo quanto è emerso dalle osservazioni sperimentali. Gli studi condotti
hanno chiarito vari aspetti dei processi cerebrali associati alle interazioni
tra individui della stessa specie, ma finora non è stato definito come il
cervello codifichi le proprietà rinforzanti delle interazioni sociali. Clément
Solié e colleghi hanno cercato di comprendere il modo
in cui avviene tale codifica studiando in vivo l’attività
neurofunzionale associata alle esperienze sociali in topi liberi di muoversi a
piacimento nel proprio ambiente.
(Solié
C., et al. VTA dopamine neuron activity encodes
social interaction and promotes reinforcement learning through social
prediction error. Nature
Neuroscience - Epub ahead
of print doi:10.1038/s41593-021-00972-9,
2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department of Basic Neuroscience, University of Geneva,
Geneva (Svizzera).
La registrazione in vivo dei
neuroni delle aree cerebrali del sistema a ricompensa, che si attiva
determinando il rinforzo di un comportamento o di un’esperienza, in topi
liberi di muoversi ed entrare in rapporto con un membro della propria specie a
loro non familiare, ha consentito a Clément
Solié e colleghi di rilevare tracciati indicativi del
processo neuronico associato all’incontro “sociale” esperito da ciascun
roditore monitorato.
Le
popolazioni di neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale (VTA),
cioè le cellule più importanti dell’aggregato pirenoforico principale del circuito
a ricompensa cerebrale, accrescono la loro attività elettrica di scarica di
potenziali d’azione mentre ciascun topo monitorato si intrattiene con il conspecifico
poco noto, secondo un modello sperimentale standard di “incontro sociale”. L’attività
accresciuta di questa popolazione neuronica, che rilascia dopamina attribuendo valore
biologico alle esperienze positive, si caratterizza per risposte
eterogenee.
I ricercatori
hanno allora impiegato un compito strumentale sociale, col quale hanno
rilevato e dimostrato che l’attività dei neuroni dopaminergici della VTA codifica
l’errore di previsione sociale e guida l’apprendimento del rinforzo
sociale.
Sulla
base dei risultati sperimentali ottenuti in questo studio da Clément Solié e colleghi, per il cui dettaglio si invita alla
lettura del testo integrale dell’articolo originale, si deduce che i neuroni
dopaminergici della VTA sono un sostrato neurale per un segnale di
apprendimento sociale che guida il comportamento motivato.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella
Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia
BM&L-11 dicembre 2021
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Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Cfr. Giuseppe Perrella, Una
visione neuroscientifica del mentale, p. 3 (relazione incontri BML-Italia),
Firenze 2003.
[2] Si veda il problema dell’organicismo
in psichiatria, proposto al dibattito culturale nella chiave di un riduzionismo
estremo, cieco e paradossale, quale quello del film “Mon
Oncle d’Amerique”.